Ho dedicato la maggior parte della mia vita ad ascoltare storie di malattie e ad impegnarmi per contrastarle. I ricordi sono tanti. Generalmente chi come me ha lavorato nel campo della salute ama ricordare i suoi successi. Sono scritti dentro di lui e si riaffacciano puntualmente come per consolidare la fiducia in se stesso e la gioia di avere dato un senso alla propria vita. A me succede qualcosa di diverso. Quando penso ai miei pazienti appaiono nella mia mente proprio quelle situazioni che invece mi ricordano tutti coloro che non sono riuscito a curare. Mi appaiono i loro visi, le loro espressioni di dolore e anche gli atteggiamenti di sofferenza dei loro cari. È tra quei ricordi che cerco di trovare il,senso vero della vita. Tra tutti mi ritorna spesso in mente la storia drammatica di una donna giovanissima di nome Chiara che lottava con un terribile tumore. Conoscevo molto bene lei e la sua famiglia. L’ultima volta che la visitai era uno dei suoi ultimi giorni di vita, poco prima che morisse. Ero stato chiamato durante un turno di lavoro sulla Montagna Pistoiese perché stava molto male. Abitava a Berso, uno dei tanti gruppi di case contadine sparse su quella montagna. È un posto bellissimo ma in quei giorni diventato improvvisamente triste come se partecipasse al dramma di Chiara. Era seduta su un lettino con le gambe ripiegate nella posizione del loto. La sua magrezza e la mancanza di capelli la rendevano simile ad un saggio orientale. Soffriva molto ma riusciva a non farsi accorgere dai presenti e in particolare dalla sua piccola bambina che se ne stava silenziosa in un angolo della stanza. Lentamente con un cucchiaino da una coppetta che teneva in mano prendeva del tè gelato, unico alimento che riusciva ad assumere e lo faceva per contrastare il dolore e il bruciore di stomaco causato dai tanti farmaci che era costretta ad ingerire. Ricordo l’espressione nobile e composta dei suoi grandi occhi resi ancora più grandi dal terribile dimagrimento e dalla perdita dei capelli. Quanto avrei voluto poterla aiutare al meglio mentre cercavo di incoraggiarla con le mie parole e il profondo sentimento di amore e di partecipazione che provavo per lei. Quegli occhi grandi parlavano al posto della sua voce. Sembravano ringraziarmi ma facevano capire con tutta la forza dello sguardo concentrato su di me che era inutile che tentassi di consolarla. Sapeva benissimo che non c’era più niente da fare e aveva ancora pochi giorni di vita. Lo compresi e con un po’ di vergogna smisi di parlare per rispettare la sua sofferenza. Morì dopo pochi giorni serena perché aveva ottenuto che ciò avvenisse come chiedeva, in una splendida giornata autunnale piena di sole. Tornai in quella casa la settimana successiva per intrattenermi un po’ con i suoi cari affranti dal dolore. Nella stanza soltanto la bambina sorrideva mentre inginocchiata davanti ad un piccolo tavolinetto mi mostrava alcuni libri e delle matite colorate. All’improvviso mi accorsi che somigliava incredibilmente alla sua mamma e mi guardava con i suoi stessi grandi occhi come per ringraziarmi. La morte si era trasformata nuovamente in vita.
Ago 112019