Ho ritrovato quasi casualmente queste riflessioni tra tanti scritti, oltretutto conservati molto male, durante la preparazione del mio terzo saggio sull’Anima, di prossima uscita nelle librerie. Ho deciso di farle conoscere perché mi sembravano utili per approfondire il discorso sull’Anima da me iniziato molti anni fa. Hanno rappresentato il periodo della mia vita più ricco di esperienze, di emozioni e di cambiamenti.
Essendoci carenza di medici di famiglia nel comune di Firenze alla fine degli anni 70 non fu difficile per me riuscire ad avere una convenzione con la USL 10 come medico di famiglia. Affiancai così i turni di notte e i fine settimana di lavoro di guardia medica sulla montagna pistoiese a quelli giornalieri di medico di famiglia (o medico di medicina generale come viene chiamato attualmente) nel territorio del comune di Firenze. E questi due lavori li avrei conservati fino agli anni della pensione. Il lavoro di medico di medicina generale è essenzialmente un lavoro di ascolto. Col tempo tutto questo si concretizza in una grande conoscenza delle malattie e dei variegati sintomi con cui cominciano. Il mio ambulatorio è anche il luogo dove ho raccolto per tanti anni le storie riguardanti la salute psichica dei miei pazienti. Poi la sera, non appena chiuso lo studio nel centro di Firenze, ero felice di correre ad rintanarmi nella mia magica casa nella campagna toscana per rimettere in ordine le esperienze della giornata, aggiornare e ampliare la mia conoscenza delle strutture della mente. E in quel magico silenzio arrivavano intuizioni che al mattino seguente riportavo su un quaderno di appunti perché non andassero perdute. Sarebbero state un giorno un materiale indispensabile per costruire una corretta visione della mente e dei suoi poteri. Ricordo perfettamente la notte in cui comparve un grosso malessere, il primo di una serie che da allora hanno accompagnato la mia vita. All’inizio mi impaurii e non poco, ma nel corso degli anni imparai a comprendere il significato di quegli strani malesseri e quindi a gestirli.
A quei tempi la struttura della mente che avevo disegnato non si scostava molto da quella di Freud. La sua visione della psiche formata da Coscienza, Es e Super-Io era un baluardo insuperabile per tutti noi che ci interessavamo della psiche. Avevo accumulato tutta una serie di conoscenze ed in particolare ero diventato un esperto nell’interpretazione dei sogni che al pari di Freud consideravo messaggi provenienti dall’inconscio. Una sera, dopo avere letto alcune affermazioni di Freud sui sogni, stavo per addormentarmi quando ebbi improvvisamente una particolarissima intuizione su quella struttura misteriosa e animalesca che Freud proprio per questo aveva chiamato Es. Intuii che si trattava di una straordinaria centralina di comando dalla quale dipendeva l’equilibrio di tutto l’essere umano. Freud definiva l’Es come un mondo tumultuoso, un’istanza intrapsichica che “rappresenta la voce della natura nell’animo dell’uomo”, il contenitore di quelle spinte pulsionali di carattere erotico (Eros) e di quelle aggressive ed auto-distruttive (Thanatos) che sono il modo squisitamente umano in cui gli istinti si sono evoluti. Era per lui l’istanza intrapsichica più arcaica della nostra mente fatta di istinti che rappresentano la riserva individuale di energia psichica. Per Freud uno degli istinti primari, fonte primaria di energia psichica, era quello sessuale. L’Es secondo Freud esprimeva chiaramente tutta una serie di bisogni pulsionali, vissuti come estranei alla parte cosciente della personalità. Il termine Es fu introdotto da Freud nel 1922 nel saggio L’Io e l’Es, mutuandolo però dal lavoro di Georg Groddeck il quale aveva iniziato ad usarlo indicando con esso le “forze ignote e incontrollabili” da cui noi veniamo vissuti”. Es è la terza persona neutra della lingua tedesca. Un termine per me a quel punto troppo riduttivo per descrivere la parte più importante della nostra psiche, la regina incontrastata della struttura mentale, presente in tutti gli esseri viventi. Sentivo il bisogno di dare alle strutture contenute nell’inconscio una nobiltà ma soprattutto una umanità poco dichiarata nell’Es freudiano. La mia intuizione fu semplicemente quella di chiamarle Anima e di raggruppare intorno ad essa tutte le conoscenze, ed erano veramente tante, che l’uomo aveva accumulato su di sé nel corso della sua lunga evoluzione. Tutto così prendeva luce, forza ma soprattutto chiarezza e semplicità. Contattare la nostra Anima ha un significato completamente diverso rispetto a contattare l’Es. Ascoltare l’Anima è infinitamente più affascinante e reale che ascoltare l’Es. E poi diventava possibile riunire in questa nuova visione dell’Anima tante affermazione della filosofia e delle religioni che riguardavano l’Anima stessa e aggiornarle alla luce delle più recenti scoperte della psicologia e delle neuroscienze. La mia intuizione non fu soltanto emotivamente affascinante ma si rivelò con il tempo una preziosa teoria scientifica della psiche, tale da diventare un percorso terapeutico attraverso il quale oggi riesco a coinvolgere e curare tante persone che si affidano a me. Ma quella notte successe qualcosa di ancor più straordinario e inaspettato che confermò il valore della mia intuizione. Come sempre anche quella notte mi addormentai velocemente. Non ricordo esattamente quando cominciai a sognare ma ricordo esattamente che ad un certo punto mi ritrovai ad ascoltare la mia Anima che mi raccontava tutta una serie di storie su di sé e sul senso della vita. Per chi non conoscesse il meccanismo dei sogni devo spiegare che i sogni sono messaggi provenienti dall’Anima. Come giustamente aveva intuito più di cento anni fa Freud stesso, prendendo decisamente le distanze da qualsiasi arte divinatoria, si può oggi affermare che l’Anima comunica con noi attraverso il sogno, una sorta di finestra aperta sul nostro inconscio, attraverso la quale è possibile metterci in contatto con lei. Di notte, durante il sonno, mentre la coscienza dorme e le attività del corpo sono rallentate al massimo, l’Anima che sembrerebbe non avere bisogno di riposo, ne approfitta per svolgere tutta una serie di compiti, fra cui mandare alla coscienza messaggi di vario contenuto come richieste di aiuto, consigli e desideri.
Questo era il senso dell’intervento della mia Anima nel sogno: aiutarmi con i suoi suggerimenti a comprendere meglio ciò che io avevo intuito. All’inizio riuscii a seguirla con facilità ma mano a mano che l’Anima mi parlava, le sue argomentazioni si facevano sempre più complesse, si intrecciavano a ricordi, annotazioni, critiche, insegnamenti e la velocità con cui ciò avveniva era sempre maggiore. La mia parte cosciente non riusciva a contenere la mole di notizie che pure l’Anima cercava di immettervi. Sembrava che la mia mente potesse scoppiare. Non ero più in grado di comprendere. Alla fine riuscii a svegliarmi ma il malessere non diminuì. Non dormivo più, non stavo più sognando, ma sentivo ancora la mia Anima che mi invadeva, parlava in continuazione e mi confondeva. Non sapevo come tenerla a freno. Provai la sensazione terribile che molto probabilmente è la stessa che provano gli psicotici in corso di allucinazioni uditive. Un malessere che non mi permetteva di controllare la situazione. Dovevo fare qualcosa per farla smettere. Riuscii ad alzarmi e barcollando scesi le scale. D’istinto mi venne di accendere la televisione e di tentare di concentrare la mia attenzione sul programma che stava andando in onda. E ci riuscii. Scomparvero come d’incanto le voci che provenivano dalla mia Anima e recuperai una certa normalità. Devo riconoscere che quella notte temetti veramente di impazzire e compresi quanto fosse difficile gestire da solo quei momenti di malessere. Fortunatamente l’espediente che avevo escogitato mi fu di aiuto anche nelle notti successive che ancora furono turbate da altri episodi sconvolgenti. Devo riconoscere che notte dopo notte le crisi andarono esaurendosi e l’attività della mia Anima rallentò al punto che non dovevo più alzarmi velocemente per correre ad accendere la televisione.
Riflettendo oggi su quegli episodi devo riconoscere che la mia intuizione sulla struttura della mente e sul suo funzionamento dovettero suscitare una grande emozione nella mia Anima che, sentendosi per la prima volta compresa nella sua vera essenza e capendo di potere finalmente comunicare con me, fece quello che avremmo fatto tutti noi se, dopo avere passato un lungo periodo di solitudine e di sofferenza in un’isola deserta, fossimo raggiunti finalmente da un salvatore. Una grande euforia si sarebbe sprigionata in noi e avremmo parlato fin nei minimi dettagli di tutte quelle cose che non avevamo potuto comunicare con nessuno in quel periodo duro fatto di solitudine e di silenzio.
Certamente il prezzo di sofferenza che pagai nei giorni fecondi delle mie scoperte mi riportò a riflettere sui tormenti di grandi saggi del passato nel momento che raggiunsero il culmine delle loro grandi intuizioni. Li avrei in seguito poi raccolti in un libro (Il codice genetico di Dio, Armando Editore, 2013, Roma). C’era una straordinaria somiglianza tra la descrizione delle loro sofferenze e la mia. Questo in un certo senso contribuì a rasserenarmi e a incoraggiarmi.
Comune a tutti i grandi saggi sicuramente é il prezzo di sofferenza da considerare inevitabile che si accompagna sempre alle loro intuizioni. La scoperta di verità che trasformano il mondo non è mai esente da grande tormento. Mi torna alla memoria il primo incontro tra Mosè e Dio raccontato nella Bibbia, davanti al prodigio del roveto che bruciava senza consumarsi. In quel periodo Mosè fu tormentato lungamente dall’angoscia causata dalla presa di coscienza dell’interessamento e della partecipazione divina al suo straordinario progetto di liberare gli schiavi e portarli nella terra promessa. Come Mosè anche Buddha al momento dell’illuminazione arrivata nel 503 a.C. sotto l’albero di ficus religiosa nella città di Bodh Gaya, fu assalito da dubbi e tormenti, rappresentati dall’apparizione di Mara, il diavolo tentatore, a tal punto da essere indotto a non svelare ciò che aveva scoperto. Gesù stesso nel deserto fu lacerato da dubbi e incertezze (simbolicamente espresse attraverso l’incontro con il diavolo) e con grande sofferenza e con grande forza psichica riuscì a superare le prove a cui venne sottoposto. Il momento di maggiore tormento lo raggiunse sicuramente nell’orto del Getzemani quando mormorò la frase: “Anche tu padre mio mi hai abbandonato”. Li ebbe la certezza che doveva fare una grande scelta di sofferenza per dare concretezza al suo progetto d’amore per se stesso e per l’umanità tutta. Maometto provava grande sgomento quando sentiva la voce di Dio manifestarsi dentro di sé. Avrebbe raccontato del momento dell’illuminazione, in cui sentì comparire la voce di Dio dentro di sè: “Ero in piedi, ma mi accasciai sulle ginocchia e mi trascinai carponi col petto tremante. Entrai da Khadijgiah dicendo Copritemi! Copritemi! fino a che il terrore non mi era passato”. Scrive Maxime Rodinson (Maometto, Einaudi Tascabili, Torino, 1995, pag. 73) che dapprima vi fu lo spavento dinanzi a quell’improvvisa manifestazione della divinità e ai misteriosi disegni che per il suo beneficiario teneva in serbo e la potenza sconosciuta dalla quale essa emanava. Infine vorrei ricordare i periodi di digiuno di San Francesco ai quali sentiva spesso il desiderio di sottoporsi e l’evento delle stimmate che sicuramente gli dovettero provocare grandissimo dolore. Il Dio che Mosè incontra nel roveto, Mara il diavolo tentatore di Buddha, lo stesso dialogo di Gesù con Dio nell’orto dei Getzemani, l’arcangelo Gabriele che si presenta a Maometto, il dolore anche fisico dovuto alla formazione delle stimmate durante i colloqui di Francesco con Gesù potrebbero essere visti in una chiave più moderna e scientifica. Sono convinto che la loro grande sofferenza fosse dovuta alle forti reazioni emotive delle loro Anime di fronte a tanto grandi intuizioni, quelle che hanno poi trasformato e accresciuto il livello di spiritualità del genere umano. E che abbiano confuso quella che era la voce delle loro Anime con la voce della divinità. In realtà erano le loro Anime, inquiete e sconvolte da intuizioni capaci di rivoluzionare il futuro dell’uomo, che reagivano in maniera forte ed emotiva e diventavano una voce interiore inquietante. Solo perché giungevano con forza alla coscienza, potevano essere avvertite come una voce esterna, la voce di Dio appunto. Si potrebbe scientificamente parlare di una qualche forma di allucinazione uditiva o visiva all’interno di una situazione psichica molto dilatata da una forza creativa del tutto fuori del comune in grado di dare sofferenza alla coscienza incapace di contenerla. Proprio come era successo a me.
Ma poi dopo la tempesta ritorna la luce, i colori delle cose diventano più vividi e variopinti e tutto il paesaggio intorno a noi ci sembra più bello e amabile. Così dopo lo tsunami che investì la mia psiche tutto diventò più chiaro e le rivelazioni fattemi in sogno dall’Anima entrarono a far parte del mio corredo di conoscenze e di consapevolezze. Alla fine mi fecero essere un uomo nuovo arricchito dalle sue preziose intuizioni acquisite dallo scambio di informazioni con l’Anima.
Nel giugno del 2002 all’improvviso vissi una nuova straordinaria esperienza che rappresentò la vera profonda presa di consapevolezza emotiva di tutto ciò che avevo studiato (vera e profonda perché si realizza all’interno dell’Anima). Avevo cinquantaquattro anni. Si trattò di una sensazione che l’antica tradizione cino-giapponese descrive bene con il termine zen kensho. Kensho indica la capacità di vedere a fondo nel proprio essere, di realizzare in tutte le strutture della psiche una sintonia che fa prendere consapevolezza della propria vera natura, in sintonia con tutti gli altri esseri viventi. I grandi maestri orientali dell’antichità hanno descritto questa esperienza in vari modi. Un maestro zen affermava che kensho è come tornare di nuovo alla vita dopo avere lasciato la presa sull’orlo di un precipizio ed essere precipitato fin quasi alla morte. Un altro ne parlò come dello stato in cui la vera vita chiaramente manifesta se stessa. Per ottenere questa particolare percezione, in Oriente i monaci zen lavorano diligentemente e coscienziosamente giorno e notte. Questo significa che, se vogliamo raggiungerlo, un certo impegno dobbiamo metterlo anche noi. Lo studio delle filosofie orientali, le ricerche sulle teorie di Freud e le scoperte dei neuroscienziati occidentali che avevo portato avanti per tanti anni generavano in me, con l’immediatezza di quella che può essere definita come un’intuizione, un autentico cambiamento di vita. Ho sempre definito il mio kensho come l’atto di penetrare all’interno di tutte le cose e comprendere che lo stesso Buddha o gli altri grandi saggi del passato, da me cercati attraverso tanti anni di studio, in realtà non erano che io stesso. Per quanto questa esperienza fosse stata intensa, sapevo di aver toccato soltanto la punta di un iceberg, ma mano a mano che la vivevo mi accorgevo sempre di più che ogni sensazione di sforzo, di paura e di sofferenza andava scomparendo. La mia energia mentale si rivolse, da allora, solo verso l’interno di me stesso e andò concentrandosi esclusivamente nel realizzare le verità contenute nella mia Anima alla quale mi andai sempre più affidando. Stavo diventando io stesso la meditazione. Ero entrato in quella che più tardi avrei definito come meditazione continua, ovvero l’estasi vera. Le mie vecchie sofferenze notturne di erano trasformate in una gioia inesauribile.
Decisi di pubblicare le mie intuizioni e fu così che nacque il mio primo libro che intitolai appunto “Il libro dell’Anima”. Il libro uscì nelle librerie nell’Aprile del 2004. Ero molto orgoglioso di quanto avevo prodotto e mi sforzai con tutto me stesso per pubblicizzare al meglio il libro. Feci in quel periodo molte presentazioni, ma mi accorsi fin dall’inizio quanto fosse difficile non solo farmi comprendere, quanto convincere i miei ascoltatori a iniziare un cammino di conoscenza e di rinnovamento. La mia visione dell’Anima suscitava molte critiche. Quella che mi veniva fatta più spesso era che l’Anima di cui parlavo era una cosa tanto diversa dall’Anima che fin ad allora tutti conoscevano e per questo avrei fatto meglio a chiamarla con un altro nome. Durante una conferenza che fui invitato a tenere nel febbraio del 2005 da un’Associazione Culturale, feci vedere per la prima volta le foto dell’Anima elaborate al computer partendo da preparati istologici del cervello umano. Dichiarai con forza che da quelle cellule nascevano le nostre emozioni e prime tra tutte l’amore. Sentire dire che l’amore nasceva da un grumo di cellule, oltretutto ben visibili e accuratamente descritte, suscitò malumore e anche sdegno in alcune persone che mi contestarono con forza. Solo coloro che vivevano situazioni di grave disagio mentale sembravano disposti a seguirmi ma sicuramente era dovuto al solo fatto che intravedevano una qualche possibilità di cura. Ma potrei anche dire che le loro Anime, sensibilissime e sofferenti, erano le più pronte ad ascoltarmi. Nonostante le difficoltà e la quasi generale indifferenza io andavo avanti, convinto che prima o poi le mie tesi sarebbero state accettate e apprezzate. Anche se spesso ero tentato di accusare di superficialità chi non si interessava ai miei argomenti, mi convinsi con il tempo che era compito mio darmi da fare per essere compreso e suscitare interesse. Per questa ragione mi sono sempre molto impegnato per far conoscere i risultati delle mie ricerche. Grazie agli stimoli che ricevevo nel corso delle mie conferenze legate alla presentazione del libro, quelli furono anni molto fecondi di studio e di riflessioni. Mi allontanai definitivamente dall’influenza freudiana.
L’interpretazione della struttura della psiche, la visione della malattia mentale e la sua cura era ormai del tutto mia, originale e personale. Di lì a poco sarebbe nato il mio secondo saggio sull’Anima. Era l’anno 2008.